Continuo, rhythmelos e variazioni
per pianoforte
Il tentativo di spiegare le ragioni del proprio lavoro corre sempre il rischio di suscitare qualche perplessità, e il mio caso non fa eccezione. A parziale giustificazione si può solo dire che Continuo, rhythmelos e variazioni, per pianoforte solo, è un’opera che, grazie anche al suo interprete Enrico Massa, che l’ha poi incisa in disco, ha ormai una sua piccola storia. Tanto vale accennare ai motivi che l’hanno ispirata.
La mia fantasia musicale è stata incantata ormai in anni lontani dal fascino che sprigiona il pensiero sistematico, quello che concede meno alle mode e alle improvvisazioni estemporanee; quello più legato a una visione drammatica (meno pacificata) del rapporto tra sensibilità sonora e pensiero compositivo, vibratilità ed essere, evento e permanenza. Questa visione drammatica rimanda e dialoga con dimensioni teorico-filosofiche, scientifiche, letterarie, drammaturgiche.
Nello scrivere un pezzo di musica, la prima difficoltà che mi si pone e la prima che cerco di superare (da questo superamento nascono i procedimenti costruttivi) è quella appunto del rapporto tra sensibilità sonora e pensiero compositivo. Perché parlo di “difficoltà”? Un compositore non dovrebbe aver acquisito spontaneamente il dato naturale del suono da inserirlo senza problemi in una grammatica? Questa è la composizione di scuola, quella che si tramanda nelle botteghe e va bene fino a quando qualcuno non cerca di guardarvi dentro per vedere cosa c’è. Io pratico invece una composizione di pensiero, quella che forse si praticava nei simposi pitagorici, nell’antichità, o nei circoli fiorentini di Marsilio Ficino in epoca umanistica o nei gruppi alchemici del Seicento, fino al sodalizio tra Schönberg, Berg e Webern, tutti e tre appassionati cultori del pensiero musicale e delle sue scaturigini.
La prima preoccupazione della composizione di pensiero è quella cosmogonica: la musica è una risposta al problema della grande physis (Natura), il disegno ordinato di quella physis. Ma nel contemplare quel disegno si scorgono le crepe: per i pitagorici i numeri irrazionali, per noi l’irreversibilità del tempo, la non-linearità dei fenomeni. La musica chiude, nel suo costituirsi in forma (e si costituisce in forma solo dopo aver domato il Caos), i germi che ne decretano la fine e il superamento, nasconde dentro casa i nemici, accudisce l’infelice straniero, il Wanderer, colui che tradirà nell’addio l’antica fede.
L’immediata conseguenza pratica di queste riflessioni è la scelta del comporre per “variazioni”. Dopo tutto quello che è successo nel Novecento scegli le “variazioni”? Si, scelgo le variazioni, scelgo il pianoforte, accudisco lo straniero per un nuovo tradimento. E parto da elementi semplici: una scala modale artificiale, cinque temi iniziali cui imprimere lo slancio della variazione prospettica, dei modelli ritmici di cambiamento di velocità, uno schema di sovrapposizione di ritmi della mano destra su quella di sinistra. Elementi molto pianistici, come si vede; o meglio: “tastieristici”, legati a una tastiera, di un clavicembalo, di un fortepiano, di un pianoforte. Intendevo usare la tastiera di un pianoforte come esploratore di diversi universi sonori ad essa collegati, senza toccare le corde, senza manipolarne le caratteristiche sonoriali. Volevo celare, nascondere, piuttosto che aprire, rendere visibile (una nuova sonorità rende visibile, porta una parte del segreto di uno strumento all’esterno). Avevo davanti quattro secoli di repertorio, cosa che può atterrire un compositore di scuola, ma non un compositore di pensiero.
Per quest’ultimo ogni elemento è un nuovo inizio, non si danno timori reverenziali nei confronti di Frescobaldi o di Couperin, di Bach o di Domenico Scarlatti, di Mozart o di Beethoven, di Chopin o di Liszt, di Bartók o di Boulez, di Cage o di Ligeti, ma solo una ragionata passione. Chissà, forse in questo pezzo ci sono elementi di molti dei compositori citati, ma non sono riconoscibili, perché non considerati in quanto stilemi personali, ma in quanto “parole” di una “langue”.
E’ le bruissement de la langue pianistica che fomicola – anche se un po’ straniata – nel corso del pezzo, come in un film in bianco e nero. La mia poetica si inscrive, infatti, tutta nell’”arte del velare”, nella pratica del nascondimento. Da questo punto di vista, coloro i quali si aspettano da un pezzo o un ritorno indietro nel tempo o una violenta spinta in avanti rimarranno delusi. Altro ci si può attendere da questo lavoro. Cosa? Di ascoltarne, pazienti e inquieti, la Wanderung.
Antonio De Lisa

Categorie:Z04- Continuo, rhythmelos e variazioni, per piano (1994)
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