Antonio De Lisa- La musica di Edgar Varèse

Edgar Varese con Henry Cowell

Edgar Varèse, il cui nome completo è Edgard Victor Achille Charles Varèse,  (1883-1965) si è formato a Parigi e ha successivamente allargato lo spettro delle sue esperienze a Berlino. Ha fatto conoscere la musica di Schönberg a Stravinsky e si è strettamente legato a Busoni il cui Entwurf ha esercitato una durevole influenza sul suo pensiero musicale.

Nel 1915 emigra negli Stati Uniti lasciandosi dietro e abbandonando a un destino di distruzione o di dispersione quasi tutto quello che aveva composto fino a quel momento. Arriva in America proprio mentre si sta per concludere la parabola compositiva di Ives. Con lui si sposta il baricentro della musica più avanzata, da Parigi a New York. Nella nuova patria comporrà opere del livello di Amériques, per orchestra (1918-21), che è la prima composizione americana di Varèse, concepita per un’orchestra di centoquarantadue esecutori; Offrandes, per voce di soprano e piccola orchestra su testi di V. Huidobro e J.J. Tablada (1921); Hyperprism, per nove strumenti a fiato (due legni e sette ottoni) e sedici strumenti a percussioni (1922-3). In prossimità di quest’ultimo lavoro si precisa il luogo dove ritmo e timbro sono strettamente connessi a imprimere una svolta radicale nei procedimenti compositivi. Varèse mette in crisi quella che, con un’espressione fin troppo abusata in ambito filosofico, potremmo definire la “metafisica del fondamento”, che in musica si traduce nella volontà che il pensiero musicale si fondi su contrappunto e armonia, così come si è venuta concretamente sedimentando nella tradizione colta (specchi dell’armonia del mondo, in cui ogni dissonanza si compone in una consonanza; ma riflesso, anche, dell’ingegno dell’uomo, capace di trarre da convenzioni costrittive la capacità di inventare un linguaggio). Il suo titolo, che allude a un termine matematico (“possiede una connotazione geometrica ed implica un significato quadridimensionale”), segnala l’apertura di una nuova era nella storia musicale, in cui il rapporto con la scienza diviene dominante.

Segue Octandre, per legni, ottoni, contrabbasso (1923), che facciamo ascoltare per intero con la partitura:

E’ la volta poi di Intégrales, per undici strumenti a fiato e percussioni (1924-5); per l’autore questo pezzo è stato concepito per “una proiezione spaziale”. “Costruii il lavoro pensando di impiegare certi mezzi acustici che ancora non esistevano, ma che sapevo avrebbero potuto essere realizzati e utilizzati, prima o poi”. Intégrales è importante perché vi viene adombrato un rapporto con la terza dimensione spaziale dei fenomeni sonori attraverso l’utilizzo del calcolo infinitesimale. Vi si spiegano movimenti sonori di massa “di radianza variabile” e di densità e volumi differenti. “Quando queste masse entreranno in collisione, ne risulteranno fenomeni di compenetrazione o di repulsione”.

Da segnalare ancora Arcana, per orchestra (1925-7); Ionisation, per tredici percussionisti, che richiede trentacinque diversi strumenti a percussione e a frizione (1929-31), una delle prime opere occidentali esclusivamente destinata a questo organico; Ecuatorial, per voce di basso solista, coro all’unisono, otto ottoni, piano, organo, onde Martenot, sei percussioni, su testo da Popol Yuy dei Maya Quiché (1932-4); Density 21,5, per flauto (1936).

Questo è un altro momento importante nella vita artistica di Varèse. Siamo nel 1939. In seguito a contatti con ingegneri del suono, elettronici e fabbricanti di strumenti intravede la possibilità di una nuova “machine à son” capace di liberare il compositore dalle strettoie della tradizione:

“Les avantages que je prévois sont ceux-ci: une machine semblable nous libérerait du système arbitraire et paralysant de l’octave; elle permettrait l’obtention d’un nombre illimité de fréquences, la subdivision de l’octave, et, par conséquence, la formation de tuote gamme désirée; une étendue insoupçonnée de registres, de nouvelles splendeurs harmoniques que l’usage de combinaisons sub-harmoniques rendrait possibles; des sons combinés, des différenciations de timbres, des intensités inhabituelles au-delà de tout ce que peuvent accomplir nos orchestres; une projection du son dans l’espace par son émission de l’une ou l’autre partie d’une salle de concert, selon le besoins de l’oeuvre; des rhythmes qui s’entrecroiseraint indépendamment les uns des autres, simultanément en contrepoint… puisque cette invention pourrait jouer toutes les notes voulues… en fractions de notes dans une unité de temps ou de mesure donnée, tel qu’il est maintenant humainement impossible de le faire”.

La possibilità di fare musica con una macchina era stata aperta nel 1906 da Thaddeus Cahill, uno scienziato canadese con il suo “telharmonium”. In seguito l’esiliato russo Leon Theremin – che abbiamo conosciuto in relazione a Cowell – proporrà il suo “theremine”, il francese François Maurice Martenot le sue “ondes Martenot”, utilizzate da Varèse insieme a due “theremine” nel suo Ecuatorial, il tedesco Friedrich Trautwein il suo “trautonium”.

Infine si citano Étude pour espace, per coro, due pianoforti e percussione (1947); Déserts, per quattordici strumenti a fiato, piano, cinque percussioni e nastro a due tracce (1950-54); La procession de Vergès, nastro per un film su Joan Miró (1955); Nocturnal, per solisti, coro e piccola orchestra, su testi di Anaïs Nin (1961), incompleto.

Nel 1958 la Philips, una fabbrica olandese di apparecchiature elettroniche, commissiona a Le Corbusier la progettazione di un padiglione alla Fiera di Bruxelles tale che fosse “una poesia dell’età elettronica”. L’architetto franco-svizzero invita Varèse a scrivere la musica per una fantasia di luci, colori, ritmi e suoni lunga otto minuti. Nelle intenzioni quella musica doveva rappresentare la “genesi del mondo”. Nasce così il Poème électronique, nastro a tre tracce (1958). Varèse, che ha settantatre anni, compone la maggior parte della musica direttamente su nastro magnetico. Con un generatore di impulsi vengono creati suoni di tamburo; una voce naturale di ragazza viene trattata elettronicamente. L’architettura sonora prevede la distribuzione dei suoni su quattrocento altoparlanti, che sono disposti in modo tale da creare un senso di dimensione spaziale. Lo spettatore può ascoltare il brano nella sua interezza indipendentemente dal momento dell’arrivo, semplicemente attraversando il padiglione. La musica diventa multidimensionale: non prevede più un ascolto frontale e si annullano i marcatori di tempo di inizio e fine.

Il “suono organizzato” di Varèse consiste in un procedimento compositivo attentissimo all’auscultazione dei fenomeni sonori più sottili, alle interferenze provocate da un determinato incontro di timbri, agli agglomerati dei suoni, agli armonici superiori esaltati dall’intervento di un certo strumento piuttosto che un altro. La musica di Varèse non può essere analizzate solo sulla carta, vale a dire a livello simbolico della notazione scritta in senso convenzionale, come per fare un esempio una determinata concatenazione di accordi. Le note in quel caso ci direbbero non diciamo poco, perché comunque veicolano una certa quantità di informazione, ma non ci dicono l’essenziale. L’essenziale in questo caso consiste nel lavoro di sottofondo che il compositore ha fatto direttamente sulla materia sonora, sul modo in cui porre l’archetto sulla corda di un violino o di un violoncello, su quale parte della corda, su quel determinato battimento che si crea se si sfrega in un certo modo la corda di un’arpa, sul multifonico che si produce deviando la colonna d’aria in un flauto o in un clarinetto.

Nella manipolazione dello spettro di un suono, per esempio, si osserva che la risposta allo stimolo varia al variare dello stimolo stesso perché questo si presenta in modo sempre diverso; in questo caso i compositori avranno prodotto – singolarizzando gli elementi in un pulviscolo – un fenomeno di de-sintatticizzazione, che incide e perturba uno schema simmetrico e direttivo proprio del senso comune di cui si diceva.

“Varèse parte dalle caratteristiche sonore di ciascuno strumento: dalla sua densità, come chiama timbro e qualità indipendenti dalle relazioni di altezza. Lo strumento è un suono, come qualsiasi altro, relativamente accidentale, un rumore; e la musica di Varèse diventa una polifonia di timbri, ogni strumento possiede la sua figura tipica propria o il proprio modello ritmico, che rimane costante o se cambia, cambia soltanto molto lentamente, come un ‘fatto della natura’, risente le conseguenze di permutazioni al di là della sua volontà. Varèse ha paragonato questo processo alla formazione dei cristalli” (Mellers 1964: p. 157-8).

L’attenzione alle microfluttuazioni del suono apre la via alla scoperta di un nuovo territorio. Che succede all’interno di una colonna d’aria quando, per mezzo dell’ancia, si fanno risuonare degli armonici non multipli della fondamentale? In questo caso abbiamo un fenomeno non lineare. Si creano delle discontinuità nell’ambito stesso del sistema oscillatorio periodico. In generale, il punto critico è legato al momento dell’attacco del suono, come l’insufflazione nella boccola del flauto o lo sfregamento dell’arco sulla corda. Il modello si arricchisce di una variante: avremo la somma delle parti più la loro mutua interazione. In generale, un fenomeno si dice non lineare quando, sommariamente, gli effetti cessano di essere proporzionali alle cause. Nel regime lineare, il sistema è di fatto la mera somma delle sottoparti; ha senso dunque analizzare il comportamento di una singola di queste sottoparti, dato che il comportamento globale può poi subito essere dedotto semplicemente sovrapponendo le singole sottoparti. Matematicamente, questo è noto come principio di sovrapposizione degli effetti, e sta alla base del successo di gran parte dei metodi matematici per la fisica. In regime non lineare, tutto questo cessa di essere vero, ed il sistema non è più la somma delle sottoparti ma qualcosa di più: la somma delle sottoparti più la loro mutua interazione.

Su larga scala avremo una composizione per “masse sonore”, come in molte opere pioneristiche di Varèse, nelle quali è la configurazione complessiva e la mutua interazione dei suoni a determinare la densità sonora. Varèse stesso parlava di “collisioni”, “penetrazioni”, “repulsioni”, “trasmutazioni” di masse sonore come termini di un’ideale “liberazione del suono” che si potrebbe considerare come un passo ulteriore rispetto all’ “emancipazione della dissonanza” adombrata da Schönberg.

Antonio De Lisa

Tutti i diritti riservati

Materiali documentari: la prima parte di un film basato

sulla vita e sulle opere di Edgar Varèse:

Bibliografia essenziale

Scritti:

E. Varèse (1985), Il suono organizzato. Scritti sulla musica, Prefazione di G. Manzoni, Introduzione e cura di L. Hirbour, traduzione di U. Fiori, Ricordi-Unicopli, Milano 1985.

Bibliografia:

F. Ouellette (1966), Edgard Varèse, èdition revue et augmentèe par l’auteur précédée de “Varèse, l’exception” et suivie d’une bibliographie et discographie entièrement remise à jour par Louise Hirbour, Christian Burgois Éditeur, Paris 1989

L. Varèse (1972), Varèse, A Looking-glass Diary. 1883-1928, W.W. Norton and Company, Inc., New York.

O. Vivier (1973), Varèse, Seuil, Paris.

La Revue Musicale, triple numéro 383-384-385, Editions Richard-Masse 1985, F.-B. Mâche (sous la diretion de) (1985), “Varèse vingt ans après…”.

J. Bernard (1987), The Music of Edgard Varèse, Yale University Press, New Haven/London.

C. Toscani (1993), “L’esperienza creativa di E. Varèse: rottura e continuità con la tradizione europea”, in Sonus – Materiali per la musica moderna e contemporanea, Fascicolo 11, Anno V, N. 3-4 1993, pp. 33-42.

L. Conti (1994), “Espansione/Contrazione. Il suono e il movimento nell’universo di Varèse”, in Sonus – Materiali per la musica moderna e contemporanea, Fascicolo 12, Anno VI, N. 1, pp. 72-83.

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Nella foto sopra il titolo: Henry Cowell suona lo shakuhachi in compagnia di Edgar Varèse



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