Canzoni italiane sul lavoro
Questa è una raccolta di canzoni italiane sul lavoro. Non intendiamo dimostrare che la canzone italiana non si basa tutta sulla rima cuore-amore quanto piuttosto percorrere un itinerario di esplorazione sul rapporto tra testo e musica. La canzone italiana di ambito “leggero” è riuscita ad articolare uno sguardo sulla società niente affatto banale.
Desideriamo ringraziare pubblicamente Ernesto Assante e Gino Castaldo, insieme agli amici che li seguono sulle loro pagine in rete per i preziosissimi suggerimenti: Marcello Malgeri Zeri, Leonardo Iannacci, Fabrizio Magrelli, Federica Catastrofe Marchionni, Pierluigi Fracasso (speriamo di non averne dimenticato nessuno).
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Parte Prima
I cantautori
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Piero Ciampi, Andare, camminare, lavorare
Andare camminare lavorare, andare a spada tratta,
banda di timidi, di incoscenti, di indebitati, di disperati.
Niente scoramenti, andiamo, andiamo a lavorare,
andare camminare lavorare, il vino contro il petrolio,
grande vittoria, grande vittoria, grandissima vittoria.
Andare camminare lavorare, il meridione rugge, il nord non ha salite,
niente paura, di qua cè la discesa,
andare camminare lavorare, rapide fughe rapide fughe rapide fughe.
Andare camminare lavorare
i prepotenti tutti chiusi a chiave
i cani con i cani nei canili
le rose sui balconi
i gatti nei cortili
andare camminare lavorare
andare camminare lavorare
dai, lavorare!
E che cosè questo fuoco? pompieri, pompieri, voi che siete seri, puntuali,
spegnete questi incendi nei conventi, nelle anime, nelle banche.
Andare camminare lavorare, queste cassaforti che infernale invenzione, viva la ricchezza mobile, andare camminare lavorare, andare camminare lavorare.
Lavorare, lavorare!
Andare camminare lavorare
il passato nel cassetto chiuso a chiave
il futuro al Totocalcio per sperare
il presente per amare
non è il caso di scappare
andare camminare lavorare
andare camminare lavorare
dai, lavorare!
Nutriamo il lavoro, alé!
gli agnelli a pascolare con le capre fra i nitriti dei cavalli, questi rumorosi…
vigilati da truppe di pastori, andare camminare lavorare.
Niente paura, azzurri, azzurri, attaccare attaccare,
attaccatevi a calci nel sedere, la domenica tutti sul Pordoi a pedalare.
Lavorare pedalare lavorare,
con i cantanti nellosteria, con i contanti, con tanti tanti tanti tanti auguri agli sposi!
Andare camminare lavorare, la Peni- sola in automobile, tutti in automobile al matrimonio, alé!
la Penisola al volante,
questa bella penisola è diventata un volante.
Andare camminare lavorare…
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Lucio Battisti, Anche per te (1971)
Per te che è ancora notte e già prepari il tuo caffè
che ti vesti senza più guardar lo specchio dietro a te
che poi entri in chiesa e preghi piano
e intanto pensi al mondo ormai per te così lontano.
Per te che di mattina torni a casa tua perché
per strada più nessuno ha freddo e cerca più di te
per te che metti i soldi accanto a lui che dorme
e aggiungi ancora un po’ d’amore a chi non sa che farne.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi…
al vento avrebbe detto sì.
Per te che di mattina svegli il tuo bambino e poi
lo vesti e lo accompagni a scuola e al tuo lavoro vai,
per te che un errore ti è costato tanto
che tremi nel guardare un uomo e vivi di rimpianto.
Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così
io resto qui
a darle i miei pensieri,
a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi…
al vento avrebbe detto sì.
—
Fabrizio de Andrè – Storia di un impiegato (1973)
Testi di Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio
Musiche di Fabrizio De André e Nicola Piovani
1. Introduzione
Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera…
2. Canzone del maggio
(liberamente tratta da un canto del maggio francese 1968)
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le “pantere”
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c’eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le “verità” della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti…
3. La bomba in testa
…e io contavo i denti ai francobolli
dicevo “grazie a dio” “buon natale”
mi sentivo normale
eppure i miei trent’anni
erano pochi più dei loro
ma non importa adesso torno al lavoro.
Cantavano il disordine dei sogni
gli ingrati del benessere francese
e non davan l’idea
di denunciare uomini al balcone
di un solo maggio, di un unico paese,
e io la faccia usata dal buonsenso
ripeto “non vogliamoci del male”
e non mi sento normale
e mi sorprendo ancora
a misurarmi su di loro
e adesso è tardi, adesso torno al lavoro.
Rischiavano la strada e per un uomo
ci vuole pure un senso a sopportare
di poter sanguinare
e il senso non dev’essere rischiare
ma forse non voler più sopportare.
Chissà cosa si prova a liberare
la fiducia nelle proprie tentazioni,
allontanare gli intrusi
dalle nostre emozioni,
allontanarli in tempo
e prima di trovarti solo
con la paura di non tornare al lavoro.
Rischiare libertà strada per strada,
scordarsi le rotaie verso casa,
io ne valgo la pena,
per arrivare ad incontrar la gente
senza dovermi fingere innocente.
Mi sforzo di ripetermi con loro
e più l’idea va dì là del vetro
più mi lasciano indietro,
per il coraggio insieme
non so le regole del gioco
senza la mia paura mi fido poco.
Ormai sono in ritardo per gli amici
per l’odio potrei farcela da solo
illuminando al tritolo
chi ha la faccia e mostra solo il viso
sempre gradevole, sempre più impreciso.
E l’esplosivo spacca, taglia, fruga
tra gli ospiti di un ballo mascherato,
io mi sono invitato
a rilevar l’impronta
dietro ogni maschera che salta
e a non aver pietà per la mia prima volta.
—
Enzo Jannacci, Vincenzina e la fabbrica
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Mina, Vincenzina e la fabbrica
Dall’album “Mina quasi Jannacci”
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Rino Gaetano, L’operaio della FIAT (La 1100)
Hai finito il tuo lavoro
hai tolto trucioli dalla scocca
è il tuo lavoro di catena
che curva a poco a poco la tua schiena
neanche un minuto per ogni auto
la catena è assai veloce
e il lavoro ti ha condotto
a odiare la 128
Ma alla fine settimana
il riposo ci fa bene
noi andremo senza pensieri
dagli amici a Moncalieri
. . . la millecento,la millecento . . .
Hai lasciato la catena
un bicchiere di vino buono
ti ridà tutto il calore
trovi la tua donna e fai l’amore
sei già pronto per partire
spegni tutte le luci di casa
metti il tuo abito migliore e pulito
lasci al gatto la carne per tre giorni
e insieme a una Torino abbandonata
trovi la tua macchina bruciata
. . . la millecento,la millecento,la millecento . . .
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Giorgio Gaber, Gli operai
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Enzo Del Re, Lavorare con lentezza
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Caparezza, Eroe
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Parte seconda
La Pop Music e il mondo del lavoro
Gruppi e complessi
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I Giganti, Proposta (1967)
I Giganti – Proposta (1967)
(Albula e Giordano Bruno Martelli)
3° a Sanremo
(Giganti – The Bachelors)
Mettete dei fiori nei vostri cannoni
era scritto in un cartello
sulla schiena di ragazzi
che senza conoscersi
di città diverse
socialmente differenti
in giro per le strade della loro città
cantavano la loro proposta
ora pare che ci sarà un’inchiesta
Tu come ti Chiami?
e qual’e’ la tua proposta?
Me ciami Brambilla e fu l’uperari
lauri la ghisa per pochi denari
e non ho in tasca mai
la lira per poter fare un ballo con lei …
Mi piace il lavoro ma non sono contento
non è per i soldi che io mi lamento
ma questa gioventù
ci avrei giurato che mi avrebbe dato di più
Mettete dei fiori nei vostri cannoni
perché non vogliamo mai nel cielo
molecole malate, ma note musicali
che formino gli accordi per
una ballata di pace
di pace, di pace …
Anche tu sei molto giovane
quanti anni hai?
e di cosa ti lamenti?
Ho quasi vent’anni e vendo i giornali
girando i quartieri fra povera gente
che vive come me, che sogna come me.
Io sono un pittore che non vende quadri
dipingo soltanto l’amore che vedo
e alla società
non chiedo che la mia libertà.
Mettete dei fiori nei vostri cannoni
perché non vogliamo mai nel cielo
molecole malate, ma note musicali
che formino gli accordi per
una ballata di pace
di pace, di pace …
E tu chi sei?
non mi pare che abbia di che lamentarti
La mia famiglia è di gente bene
con mamma non parlo, col vecchio nemmeno
lui mette le mie camicie
e poi mi critica se vesto così…
Guadagno la vita lontano da casa
perché ho rinunciato ad un posto tranquillo
ora mi dite che ho degli impegni che
gli altri han preso per me
Mettete dei fiori nei vostri cannoni
perché loro non vogliono nel cielo
molecole malate, ma note musicali
che formino gli accordi per
una ballata di pace
di pace, di pace …
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New Trolls, Una miniera (1969)
NEW TROLLS – UNA MINIERA (1969)
(D’Adamo,V – De Scalzi,V – Di Palo,N)
Le case le pietre ed il carbone dipingeva di nero il mondo
Il sole nasceva ma io non lo vedevo mai laggiù era buio
Nessuno parlava solo il rumore di una pala che scava che scava
Le mani la fronte hanno il sudore di chi muore
Negli occhi nel cuore c’è un vuoto grande più del mare
Ritorna alla mente il viso caro di chi spera
Questa sera come tante in un ritorno.
Tu quando tornavo eri felice
Di rivedere le mie mani
Nere di fumo bianche d’amore.
Ma un’alba più nera mentre il paese si risveglia
Un sordo fragore ferma il respiro di chi è fuori
Paura terrore sul viso caro di chi spera
Questa sera come tante in un ritorno.
Io non ritornavo e tu piangevi
E non poteva il mio sorriso
Togliere il pianto dal tuo bel viso.
Tu quando tornavo eri felice
Di rivedere le mie mani
Nere di fumo bianche d’amore
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Stormy Six, Stalingrado La fabbrica
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Dal Pop all’etno-folk al Blues al Rap
(possibilmente in dialetto)
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E Zezi Gruppo Operaio – Capipallisti
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Sud Sound System, La ballata del precario
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Parte terza
Canzoni popolari
Trasformazioni e ricostruzioni
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Nuova Compagnia di Canto Popolare, Canto delle lavandaie del Vomero
Tu m’aje prommiso quatto moccatora
oje moccatora, oje moccatora!
io so’ benuto se, io so’ benuto
se me lo vuo’ dare,
me lo vuo’ dare!
E si no quatto embe’, dammenne ddoje
oje moccatora, oje moccatora
chillo ch’è ‘ncuollo a tte nn’e’ rroba toja
me lo vuo’ dare
me lo vuo’ dare.
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Flexus e il Coro delle Mondine di Novi – Se otto ore
(Gianluca Magnani)
Brano originale dei Flexus ispirato al canto popolare “Le otto ore”, qui in una versione che vede la partecipazione del “Coro delle Mondine di Novi”. Il brano è stato pubblicato come bonus track inedita al disco dal vivo “Flexus e il Coro delle Mondine di Novi cantano De André”. Caotica Musique 2010
Se otto ore son troppo poche
Provate voi a lavorare
E sentirete la differenza
Di lavarorare e di comandar
E sentirete la differenza
Di lavorare e di comandar
Quaranta giorni a piedi nudi
Col capo chino sotto il sole
Quaranta giorni senza tornare
Tra le braccia del mio amore
E alle quattro della mattina
Con gli occhi stanchi dal giorno prima
E in fila verso una risaia
E già s’alza il canto della monda
E a mani nude strappare ortiche
E a mani nude piantare il riso
Lo stesso riso che ogni sera
Han preparato per la cena
Se otto ore…
Quaranta giorni a piedi nudi
E otto ore sembravan poche
E adesso sembrano una vita intera
E il nostro canto una preghiera
E l’acqua era soltanto un vetro
Piantando il riso a marciaindietro
E le parole del nostro canto
Confuse al signor padrone
“Saluteremo, Signor Padrone
Per il male che ci ha fatto
Che ci ha sempre maltrattato
Fino all’ultimo momento!”
Se otto ore…
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Francesco De Gregori & Giovanna Marini – Saluteremo il signor padrone
“Saluteremo il signor padrone” eseguita da Giovanna Marini e Francesco De Gregori, canto popolare recuperato ed editato dalla stessa Marini e da Ivan Della Mea, due massimi esperti della musica popolare.
Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto
che ci ha sempre maltrattato
fino all’ultimo momen.
Saluteremo il signor padrone
per la sua risera neta,
pochi soldi in la casseta
ed i debiti a pagar.
Macchinista macchinista faccia sporca
metti l’olio nei stantuffi
di risaia siamo stufi
di risaia siamo stufi.
Macchinista macchinista faccia sporca
metti l’olio nei stantuffi
di risaia siamo stufi
a casa nostra vogliamo andar.
Con un piede con un piede sulla staffa
e quell’altro sul vagone
ti saluto cappellone
ti saluto cappellone.
Con un piede con un piede sulla staffa
e quell’altro sul vagone
ti saluto cappellone
a casa nostra vogliamo andar.
—
Parte quarta
La canzone politica e di protesta
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Paolo Pietrangeli – Contessa
Contessa fu scritta da Paolo Pietrangeli nel 1966 in occasione della prima occupazione dell’università di Roma e per ricordare lo studente Paolo Rossi assassinato dai fascisti.
“Che roba contessa all’industria di Aldo/ han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti/ volevano avere salari aumentati/ dicevano pensi di essere sfruttati./ E quando è arrivata la polizia/ quei quattro straccioni han gridato più forte/ di sangue han sporcato il cortile e le porte, /chissà quanto tempo ci vorrà per pulire”.
Compagni dai campi e dalle officine/ prendete la falce e portate il martello/ scendete giù in piazza e picchiate con quello/ scendete giù in piazza e affossate il sistema.
Voi gente per bene che pace cercate/ la pace per far quello che voi volete/ ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra/ vogliamo vedervi finir sotto terra./ Ma se questo è il prezzo l’abbiamo pagato/ nessuno più al mondo dev’essere sfruttato.
‘Sapesse contessa che cosa mi ha detto/ un caro parente dell’occupazione/ che quella gentaglia rinchiusa là dentro/ di libero amore facea professione./ Del resto mia cara di che si stupisce/ anche l’operaio vuole il figlio dottore/ e pensi che ambiente ne può venir fuori/ Non c’è più morale contessa’.
Se il vento fischiava ora fischia più forte/ Le idee di rivolta non sono mai morte/ Se c’è chi lo afferma non state a sentire/ È uno che vuole soltanto tradire./ Se c’è chi lo afferma sparategli addosso/ La bandiera rossa ha gettato nel fosso.
Voi gente per bene che pace cercate/ La pace per far quello che voi volete/ Ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra/ Vogliamo vedervi finir sotto terra./ Ma se questo è il prezzo l’abbiamo pagato/ Nessuno più al mondo dev’essere sfruttato”.
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Ivan Della Mea, O cara moglie
O cara moglie, stasera ti prego,
dì a mio figlio che vada a dormire,
perchè le cose che io ho da dire
non sono cose che deve sentir.
Proprio stamane là sul lavoro,
con il sorriso del caposezione,
mi è arrivata la liquidazion,
m’han licenziato senza pietà.
E la ragione è perchè ho scioperato
per la difesa dei nostri diritti,
per la difesa del mio sindacato,
del mio lavoro, della libertà .
Quando la lotta è di tutti per tutti
il tuo padrone, vedrai, cederà ;
se invece vince è perchè i crumiri
gli dan la forza che lui non ha.
Questo si è visto davanti ai cancelli:
noi si chiamava i compagni alla lotta,
ecco: il padrone fa un cenno, una mossa,
e un dopo l’altro cominciano a entrar.
O cara moglie, dovevi vederli
venir avanti curvati e piegati;
e noi gridare: crumiri, venduti!
e loro dritti senza piegar.
Quei poveretti facevano pena
ma dietro loro, la sul portone,
rideva allegro il porco padrone:
l’ho maledetto senza pietà .
O cara moglie, prima ho sbagliato,
dì a mio figlio che venga a sentire,
chè ha da capire che cosa vuol dire
lottare per la libertà
chè ha da capire che cosa vuol dire
lottare per la libertà.
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Ivan Della Mea “Viva la FIAT”
Ccanzone scritta in occasione del licenziamento dei 61 operai alla FIAT nel l’autnno 1979. I61 furono nei fatti accusati di terrorismo.
LOST ORPHEUS ENSEMBLE
Modern Music Live BaND
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85100 – POTENZA (ITALY)Website: http://www.lostorpheus.info
E-mail: lostorpheusmedia@gmail.comTel.: 0971-37457
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