Lezione #4: La canzone d’autore italiana
Elementi per un’analisi:
Comporre testi per musica: analogie e differenze – Strutture metriche e formali
Il rapporto frontale fra cantante e pubblico: (Nozioni fondamentali di psico-sociologia della comunicazione)
Pragmatica della comunicazione – Fenomeni sopra-segmentali del linguaggio in prospettiva comunicativa – Il linguaggio dei gesti – Psicosociologia dei movimenti di massa – La nozione di “leader carismatico” di Max Weber
Lo spazio scenico e visivo: Muoversi in uno spazio chiuso – Muoversi in uno spazio aperto – Il corpo che parla – Il rapporto con il pubblico
Lo spazio sonoro: (Elementi di analisi musicale)
Fenomenologia della popular music – La forma-canzone – La ripetizione – Fenomeni sopra-segmentali del linguaggio in prospettiva linguistica – La gestione fonica di un concerto dal vivo
Quello che il pubblico non vede: (Elementi di stile cinematografico e televisivo):
Il montaggio – Il campo lungo – Riprese di un concerto dal vivo – Lo studio televisivo – Ripresa televisiva e ripresa cinematografica
Testi delle canzoni
Fabrizio De André
Fabrizio De André, La canzone dell’amore perduto
(Dall’albun: “Fabrizio De André” 1976)
Ricordi sbocciavan le viole
con le nostre parole
“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”,
vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così per noi
l’amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po’ di tenerezza.
E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai
ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
Fabrizio De André, Le passanti
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c’era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l’hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.
Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l’unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.
A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.
Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.
Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.
Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.
Fabrizio De André, Dormono sulla collina
(Dall’albun: “Non al denaro non all’amore né al cielo”,
Liberamente tratto dalla Antologia di Spoon River di E.L. Masters (1971),
(Testi di fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio, musiche di Fabrizio De André e Nicola Piovani).
Dove se ne è andato Elmer/ che di febbre si lasciò morire,/ dov’è Herman bruciato in miniera./ Dove sono Berte e Tom,/ il primo ucciso in una rissa/ e l’altro che uscì già morto di galera./ E cosa ne sarà di Charley/ che cadde mentre lavorava/ e dal ponte volò e volò sulla strada.
Dormono, dormono sulla collina/ Dormono, dormono sulla collina.
Dove sono sono Ella e Kate/ morte entrambe per errore,/ una di aborto, l’altra d’amore./ E Maggie uccisa in un bordello/ dalle carezze di un animale/ e Edith consunta da uno strano male./ E Lizzie che inseguì la vita/ lontano, e dall’Inghilterra/ fu riportata in questo pezzo di terra.
Dormono, dormono sulla collina/ Dormono, dormono sulla collina
Dove sono i generali/ che si fregiarono nelle battaglie/ con cimiteri di croci sul petto,/ dove i figli della guerra/ partiti per un ideale/ per una truffa, per un amore finito male:/ hanno rimandato a casa/ le loro spoglie nelle bandiere/ legate strette, perché sembrassero intere.
Dormono, dormono sulla collina/ Dormono, dormono sulla collina.
Dov’è Jones il suonatore/ che fu sorpreso dai suoi novant’anni/ e con la vita avrebbe ancora giocato./ Lui che offrì la faccia al vento,/ la gola al vino e mai un pensiero/ non al denaro, non all’amore né al cielo./ Lui sì, sembra di sentirlo/ cianciare ancora delle porcate/ mangiate in strada nelle ore sbagliate,/ sembra di sentirlo ancora/ dire al mercante di liquore/ -Tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?-
Francesco Guccini
Francesco Guccini, Tango per due
(dall’album: “Quello che non…”- 1990)
Coppia che sta silenziosa, un po’ rigida e in posa, a ballare, una sera:
la vita è solo una cosa rimasta indietro non c’è più, ma c’era;
composta e indomenicata, eleganza sfuocata raggiunta a fatica,
l’ oggi ha cambiato facciata, ma di quell’ ieri passato io so
che tante ne potreste raccontare e il ricordo stempera e non guasta
quante cose e facce da narrare che come si dice un romanzo non basta,
nate con un rapido “a domani”, continuate in giorni di “si” e “no”,
lampi sotto cieli suburbani e raffica il tango che vi presentò…
Lui biella, stantuffo, leva, muscoli, grinta, officina, sole
lei, lei quiete, chitarra, vela, segreti, donna, calore, viole,
lui bar, alcol ,nicotina, capelli indietro, cravatta, bici,
lei, lei rayon, lei signorina, la permanente coi ricci…
Coppia di fronte a un bianchino, anonimo vino frizzante anidride:
la vita che buffa cosa, ma se lo dici nessuno ride.
Coppia legata dai giorni, partenze e ritorni, fortezza e catena,
datemi i vostri ricordi, ditemi che ne valeva la pena…
Ora le luci son spente, sta uscendo la gente, saluti e rumore,
ditemi che avete in mente, come una volta, di fare l’ amore,
quello che è stato un segreto di un prato o di un greto, del buio di un viale,
quel gioco ardente e discreto, da allora sempre diverso ed uguale…
chi lo sa se ciò che è da cercare, ciò che non sai mai se vuoi o non vuoi,
sia così banale da trovare, sia lungo ogni strada, sia a fianco di noi,
perso in tante scatole di odori, angoli e tendine che non so
impronte di paesaggi e di colori, manciata di un tango che vi accompagnò…
Lui biella, stantuffo, leva, muscoli, grinta, officina, sole
lei, lei quiete, chitarra, vela, segreti, donna, calore, viole,
lui bar, alcol, nicotina, capelli indietro, cravatta, bici,
lei, lei rayon, lei signorina, lei, lei…
Francesco Guccini, Canzone delle domande consuete
(dall’album: “Quello che non…” 1990)
Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente
come se il tempo per noi non costasse l’ uguale,
come se il tempo passato ed il tempo presente
non avessero stessa amarezza di sale.
Tu non sai le domande, ma non rispondere
per non strascinare parole in linguaggio d’ azzardo;
eri bella, lo so, e che bella che sei,
dicon tanto un silenzio e uno sguardo…
Se ci sono non so cosa sono e se vuoi
quel che sono o sarei, quel che sarò domani,
non parlare non dire più niente, se puoi,
lascia farlo ai tuoi occhi, alle mani…
Non andare… vai… Non restare…stai… Non parlare… parlami di te…
Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse,
trascinate dai giorni come piena di fiume
tante cose sembrate e credute diverse,
come un prato coperto a bitume.
Rimanere così, annaspare nel niente,
custodire i ricordi, carezzare le età;
è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente
del diritto alla felicità…
Se ci sei, cosa sei? Cosa pensi e perchè?
Non lo so, non lo sai; siamo qui o lontani?
Esser tutto, un momento, ma dentro di te,
aver tutto, ma non il domani…
Non andare… vai.. Non restare…stai… Non parlare… parlami di te…
E siamo qui spogli in questa stagione che unisce
tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove,
non so dire se nasce un periodo o finisce,
se dal cielo ora piove o non piove…
Pronto a dire “buongiorno”, a rispondere “bene”,
a sorridere a “salve”, dire anch’io “come va?”
Non c’è vento stasera. Siamo o non siamo assieme?
Fuori c’è ancora una città?
Se c’è ancora balliamoci dentro stasera,
con gli amici cantiamo una nuova canzone…
tanti anni e son qui ad aspettar primavera,
tanti anni ed ancora in pallone…
Non andare… vai… Non restare…stai… Non parlare… parlami di te…
Non andare… vai… Non restare…stai… Non parlare… parlami di noi…
Lucio Dalla
Lucio Dalla, Come è profondo il mare
(Dall’album: “Come è profondo il mare” -1977)
Siamo noi, siamo in tanti
Ci nascondiamo di notte
Per paura degli automobilisti
Dei linotipisti
Siamo i gatti neri
Siamo i pessimisti
Siamo i cattivi pensieri
E non abbiamo da mangiare
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare
Babbo, che eri un gran cacciatore
Di quaglie e di faggiani
Caccia via queste mosche
Che non mi fanno dormire
Che mi fanno arrabbiare
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare
E’ inutile
Non c’è più lavoro
Non c’è più decoro
Dio o chi per lui
Sta cercando di dividerci
Di farci del male
Di farci annegare
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare
Con la forza di un ricatto
L’uomo diventò qualcuno
Resuscitò anche i morti
Spalancò prigioni
Bloccò sei treni
Con relativi vagoni
Innalzò per un attimo il povero
Ad un ruolo difficile da mantenere
Poi lo lasciò cadere
A piangere e a urlare
Solo in mezzo al mare
Com’è profondo il mare
Poi da solo l’urlo
Diventò un tamburo
E il povero come un lampo
Nel cielo sicuro
Cominciò una guerra
Per conquistare
Quello scherzo di terra
Che il suo grande cuore
Doveva coltivare
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare
Ma la terra
Gli fu portata via
Compresa quella rimasta addosso
Fu scaraventato
In un palazzo,in un fosso
Non ricordo bene
Poi una storia di catene
Bastonate
E chirurgia sperimentale
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare
Intanto un mistico
Forse un’aviatore
Inventò la commozione
E rimise d’accordo tutti
I belli con i brutti
Con qualche danno per i brutti
Che si videro consegnare
Un pezzo di specchio
Così da potersi guardare
Com’è profondo il mare
Com’è profondo il mare
Frattanto i pesci
Dai quali discendiamo tutti
Assistettero curiosi
Al dramma collettivo
Di questo mondo
Che a loro indubbiamente
Doveva sembrar cattivo
E cominciarono a pensare
Nel loro grande mare
Com’è profondo il mare
Nel loro grande mare
Com’è profondo il mare
E’ chiaro
Che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa
E’ muto come un pesce
Anzi un pesce
E come pesce è difficile da bloccare
Perchè lo protegge il mare
Com’è profondo il mare
Certo
Chi comanda
Non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare
Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare
Ivano Fossati
Paolo Conte
Paolo Conte, Alle prese con una verde milonga
(dall’album: Paris Milonga – 1981)
Alle prese con una verde milonga
Il musicista si diverte e si estenua…
e mi avrai, verde milonga che sei stata scritta per me,
per la mia sensibilità, per le mie scarpe lucidate…
per il mio tempo e per il mio gusto
mi avrai, verde milonga inquieta
che mi strappi un sorriso di tregua ad ogni accordo,
mentre fai dannare le mie dita…
…io sono qui, sono venuto a suonare,
sono venuto ad amare, e di nascosto a danzare…
e ammesso che la milonga fosse una canzone,
ebbene io l’ho svegliata e l’ho guidata ad un ritmo più lento…
così la milonga rivelava di sé molto più di quanto apparisse…
la sua origine d’Africa, la sua eleganza di zebra,
il suo essere di frontiera, una verde frontiera…
una verde frontiera tra il suonare e l’amare,
verde spettacolo in corsa da inseguire…
da inseguire sempre, da inseguire ancora, fino ai laghi bianchi del silenzio
fin che Atahualpa[1] o qualque altro dio
non ti dica: descansate niño, che continuo io…
…io sono qui, sono venuto a suonare,
sono venuto a danzare, e di nascosto ad amare…
[1] si allude ad Atahualpa Yupanqui, ultimo grande interprete della danza pampera chiamata milonga.
Paolo Conte, Boogie
(dall’album: Paris Milonga – 1981)
Due note e il ritornello
era già nella pelle di quei due
il corpo di lei mandava vampate africane,
…lui sembrava un coccodrillo…
i sax spingevano a fondo
come ciclisti gregari in fuga
e la canzone andava avanti
sempre più affondata nell’aria…
Quei due continuavano,
da lei saliva afrore di coloniali
che giungevano a lui come da una di quelle
drogherie di una volta
che tenevano la porta aperta
davanti alla primavera…
Qualcuno nei paraggi
cominciava a starnutire,
il ventilatore ronzava immenso
dal soffitto esausto,
i sax, ipnotizzati…
dai movimenti di lei si spandevano
rumori di gomma e di vernice,
da lui di cuoio…
Le luci saettavano
sul volto pechinese della cassiera
che fumava al mentolo, altri
starnutivano senza malizia
e la canzone andava elegante,
l’orchestra era partita, decollava…
I musicisti, un tutt’uno
col soffitto e il pavimento,
solo il batterista nell’ombra
guardava con sguardi cattivi…
Quei due danzavano bravi,
una nuova cassiera sostituiva la prima,
questa qui aveva gli occhi da lupa
e masticava caramelle alascane,
Quella musica continuava,
era una canzone che diceva e non diceva,
l’orchestra si dondolava come un palmizio
davanti a un mare venerato…
Quei due sapevano a memoria
dove volevano arrivare…
Un quinto personaggio esitò
prima di sternutire,
poi si rifugiò nel nulla…
Era un mondo adulto,
si sbagliava da professionisti…
Paolo Conte, La donna d’inverno
Perché d´inverno è meglio
la donna è tutta più segreta e sola
tutta più morbida e pelosa
…e bianca, alfagana, algebrica e pensosa
dolce e squisita, è tutta un’altra cosa
vuole andare in gita non sa – non sa – non sa
Quando la neve attenua ogni rumore
e in strada gli autocarri non hanno più motore
e questo è il tempo di lasciarsi sprofondare
nel medioevo delle sua frasi amare,
dice che non vuol peccare
però, si sa lo fa.
Sto trafficando beato me
sotto un fruscio di taffetà
e mi domando in fondo se
mentre lei splende sul sofà
d´inverno, d´inverno
non sia anche più intelligente.
Si, si d´inverno è meglio
dopo è più facile dormire e andare
oltre i pensieri con un libro
di Lucrezio aperto tra le dita
così è la vita, tra una vestaglia e un mare
chi vuole andare in gita
non sa, non sa, non sa
Paolo Conte, Elisir
(dall’album: “Una faccia in prestito” – 1995)
La donna è con me,
è molto di più di una donna qualsiasi,
Io voglio lei un bene fortissimo,
Un grido bellissimo
Canto tutto e niente,
Una musica senza musica…
Dove tutto è niente
Come musica nella musica
Huhm, Huhm, Huhm…
(…)
Il luogo com’è? Una valle di nomadi
Tutto qui.
Ascoltami, tu, uomo di Neanderthal,
Si, o di Tangeri,
C’è qualcuno tra voi che sappia suonare
Una danza vertigine, un ballo frin frun
Che tolga le scarpe e le calze alle femmine?…
Suona tutto e niente,
Una musica nella musica…
Dove tutto è niente
Come polvere sulla polvere
Huhm, Huhm, Huhm…
(…)
Si suona così: con grazia plebea,
La mani che sudano
Ed offrono a noi, caro elisir,
L’arabesca impossibile…
Dove tutto è niente
Solo musica, brava musica
E la danza splende
Come un diavolo in un fulmine…
Huhm, Huhm, Huhm…
(…)
Vinicio Capossela
Vinicio Capossela, Con una rosa
(Dall’album: “Nel niente sotto il sole” – 2006)
Con una rosa hai detto/ vienimi a cercare/ tutta la sera io resterò da sola/ io per te../ muoio per te../ con una rosa sono venuto a te
bianca come le nuvole di lontano/ come la notte amara passata invano/ come la schiuma che sopra il mare spuma/ bianca non è la rosa che porto a te
gialla come la febbre che mi consuma/ come il liquore che strega le parole/ come il veleno che stilla dal tuo seno/ gialla non è la rosa che porto a te
sospirano nell’aria le rose spirano/ petalo a petalo mostrano il color/ ma il fiore che da solo cresce nel rovo/ rosso non è l’amore/ bianco non è il dolore/ il fiore solo è il dono che porto a te
rosa come un romanzo di poca cosa/ come la resa che affiora sopra al viso/ come l’attesa che sulle labbra pesa/ rosa non è la rosa che porto a te
come la porpora che infiamma il mattino/ come la lama che scalda il tuo cuscino/ come la spina che al cuore si avvicina/ rossa così è la rosa che porto a te
lacrime di cristallo l’hanno bagnata/ lacrime e vino versate nel cammino/ goccia su goccia, perdute nella pioggia/ goccia su goccia le hanno asciugato il cuor
portami allora portami il più bel fiore/ quello che duri più dell’amor per sé/ il fiore che da solo non specchia il rovo/ perfetto dal suo cuore / perfetto dal dolore/ perfetto dal dono che fa di sé
Vinicio Capossela, Non è l’amore che va via
(dall’album: “L’indispensabile” – 2003)
Vai vai
tanto non è l’amore che va via
Vai vai
l’amore resta sveglio
anche se è tardi e piove
ma vai tu vai
rimangono candele e vino e lampi
sulla strada per Destino
Vai vai
conosco queste sere senza te
lo so, lo sai
il silenzio fa il rumore
de tuoi passi andati
ma vai, tu vai
conosco le mie lettere d’amore
e il gusto amaro del mattino
Ma
non è l’amore che va via
il tempo sì
ci ruba e poi ci asciuga il cuor
sorridimi ancor
non ho più niente da aspettar
soltanto il petto da uccello di te…
soltanto un sonno di quiete domani…
Ma vai, tu vai
conosco le mie lettere d’amore
e il gusto amaro del mattino
lo so lo sai
immaginare come un cieco
e poi inciampare
in due parole
a che serve poi parlare
per spiegare e intanto, intanto noi
corriamo sopra un filo, una stagione,
un’inquietudine sottile.
Ma,
non è l’amore che va via
il tempo sì,
ci ruba e poi ci asciuga il cuor
sorridimi ancor
non ho più niente da aspettar
soltanto il petto da uccello di te…
soltanto un sonno di quiete domani…
Subsonica, Corpo a corpo
(Dall’album: “Terrestre” (2005)
Marlene Kuntz, Lieve
(Dall’album: “Catartica” -1994)
Afterhours, Neppure carne da cannone per Dio
(Dall’album: “I milanesi ammazzano il sabato” – 2008)
Testo : Agnelli
Musica: Agnelli – Prete – Gabrielli – Ciffo – Ciccarelli – Dell’Era
So che Sansone muore coi Filistei
E contro i morti non puoi vincere mai
Beh che muoia il verboe l’immortale sia io
Giacchè non sono neanche carne da cannone a Dio
carne e cannoni-carne e cannoni
Carne e cannoni e Dio
carne e cannoni ed io
Si bagnan le ragazze d’eternità
Nella bruttezza della vera poesia
Ma che muoia il verso e l’immortale sia io
Io che non sono neanche carne da cannone a Dio
carne e cannoni-carne e cannoni-carne e cannoni
Carne e cannoni e Dio
Sciogliamo il dubbio-io ti spiego cos’è:
Mi fotte un cazzo cosa pensi di me
Le notti-le botte-le stelle com’erano belle
Ma ora ho un senso inverso
Amanti-amici-onanisti-ribelli
Musicisti mai fratelli
Adesso-solisti-coltelli
Del niente-del niente
Che al limite ti fai una sega,ti fai qualcosa
La promozione incombe e nonostante questo
Fra la mia gente
Siamo tutti ancora liberi
Bluvertigo, Il Dio Denaro
(Dall’albyn: “Acidi e basi” – Bluvertigo – Testi e musiche di Morgan)
Il dio denaro permette l’impossibile/ Il dio denaro può anche far comprar l’amore/ Il dio denaro consente la mia istruzione/ Il dio denaro distrugge tutti gli altri dei/ Il dio denaro denaro è un dio speciale/ Fatto di carta e presunto potere.
Dio, non ho più un contatto col mio Dio/ Sono cieco e l’ateo sono io/ A pretenderti, a desiderarti, a spenderti ed ora so/ Che il dio denaro ha vinto Dio.
Il dio denaro si può acquistare i sudditi/ Il dio denaro non bada a leggi o scrupoli/ Col dio denaro è merce musica e poesia/ Il dio denaro si crede l’arte figlia sua
Il dio denaro è un dio speciale/ Fatto di carta e presunto potere
Dio, non ho più contatto col mio Dio/ Sono cieco e l’ateo sono io/ A pretenderti, a desiderarti, a spenderti, ed ora so/ Che il dio denaro ha vinto Dio/ Dio, non ho più contatto col mio Dio/ Sono cieco e l’ateo sono io/ A pretenderti, a desiderarti, a spenderti, ed ora so/ Che il dio sono … IO!
Il dio denaro ha vinto Dio/ Il dio denaro ha vinto Dio.
Baustelle, Panico!
(Dall’album: “Amen” – 2008)
(Musiche e parole: Francesco Bianconi)
Baustelle, Il liberismo ha i giorni contati
(Dall’album: “Amen” – 2008) (Musiche e parole: Francesco Bianconi)
E difficile resistere al Mercato, amore mio
Di conseguenza andiamo in cerca
di rivoluzioni e vena artistica
Per questo le avanguardie erano ok,
almeno fino al 66
Ma ormai la fine va da sé
E inevitabile
Anna pensa di soccombere al Mercato
Non lo sa perché si è laureata
Anni fa credeva nella lotta,
adesso sta paralizzata in strada
Finge di essere morta
Scrive con lo spray sui muri
che la catastrofe è inevitabile
Vede la fine in metropolitana,
nella puttana che le si siede a fianco
Nel tizio stanco
Nella sua borsa di Dior
Legge la Fine nei saccchi dei cinesi
Nei giorni spesi al centro commerciale
Nel sesso orale, nel suo non eccitarla più
Vede la Fine in me che vendo dischi
in questo modo orrendo
Vede i titoli di coda nella Casa e nella Libertà
E difficile resistere al Mercato, Anna lo sa
Un tempo aveva un sogno stupido:
un nucleo armato terroristico
Adesso è un corpo fragile
che sa dessere morto e sogna lAfrica.
Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe
Vede la fine in metropolitana,
nella puttana che le si siede a fianco
Nel tizio stanco
Nella sua borsa di Dior
Muore il Mercato per autoconsunzione
Non è peccato, e non è Marx & Engels.
E lestinzione, è un ragazzino in agonia.
Vede la Fine in me che spendo soldi
e tempo in un Nintendo
dentro il bar della stazione
e da anni non la chiamo più.
Carmen Consoli, Fiori d’arancio
Aveva uno sguardo intenso e diretto,
le dita curate e un sarcasmo congenito,
labbra sottili, armonioso contorno
di denti bianchi e perfetti.
Poche parole, eleganza nei modi,
una lieve cadenza d’oltralpe e dominio di sé.
Gli incontri divennero assidui e frequenti,
nei luoghi e agli orari più insoliti.
Quell’uomo intrigante teneva le redini
con singolare destrezza.
Pochi preamboli quando mi chiese:
“vorresti sposarmi?”, era onesto e sicuro di sé.
Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
fiori d’arancio intorno all’altare,
aspettavo il mio sposo con devozione.
La chiesa gremita di gente annoiata
per l’interminabile attesa.
Alle mie spalle sbadigli e commenti
e di lui neanche l’ombra lontana.
Pochi preamboli quando mi chiese:
“vorresti sposarmi?”, era onesto e sicuro di sé.
Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuno sposo impaziente all’altare,
soltanto un prete in vistoso imbarazzo.
Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuno sposo impaziente all’altare,
soltanto un prete in vistoso imbarazzo.
Ricordo il giorno del mio matrimonio,
l’abito bianco di seta ed organza,
nessuna marcia nuziale,
soltanto il mio tacito requiem
e immenso cordoglio.
Bibliografia scelta:
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, Bompiani (Strumenti Bompiani), Milano 2003.
Marco Santoro, Effetto Tenco. Genealogia della canzone d’autore, Il Mulino (Intersezioni), Bologna 2010.
Luca Sofri, Playlist, Rizzoli, Milano 2006.
—
Antonio De Lisa
LOST ORPHEUS ENSEMBLE
Modern Music Live BaND
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85100 – POTENZA (ITALY)Website: http://www.lostorpheus.info
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