Antonio De Lisa – Una quadriade numerica nel Sesto Libro dei madrigali di Carlo Gesualdo da Venosa


Antonio De Lisa – Una quadriade numerica nel Sesto Libro dei madrigali di Carlo Gesualdo da Venosa

E’ noto che, diversamente dalle sue raccolte precedenti, non si sia potuto rintracciare neppure un autore noto delle poesie che Gesualdo musica nel suo sesto libro, pubblicato nel 1611 da Carlino nella stamperia del castello di Gesualdo in Irpinia e ristampato da Simone Molinaro a Genova in partitura completa nel 1613. “Solo tre madrigali -come ha documentato Paolo Cecchi- furono musicati in precedenza: Ancide sol la morte, utilizzato da Luzzasco Luzzaschi nel Sesto Libro de Madrigali a cinque voci (1596), da Antonio Il Verso nel suo Terzo Libro de Madrigali a sei voci (1607) e da Pomponio Nenna nel suo Primo Libro de Madrigali a quattro voci (1613); Tu segui o bella Clori, musicato, con la  sola variazione dell’incipit in Tu segui o bell’Aminta, da Alessandro Di Costanzo nel suo Primo Libro de Madrigali a quattro voci (1604, ristampa) e da Nenna nel Quarto Libro de Madrigali a cinque voci (I edizione, ante 1603) e Quando ridente e bella, già comparso nel Quarto Libro dei Madrigali a cinque voci di Scipione Dentice (1602)”.[1]

Se risulta di innegabile suggestione l’immmagine di artista saturnino e malinconioso che Gesualdo proietta attraverso la sua musica, crediamo che questa non abbia niente di intimamente personale o per così dire psicologico, ma piuttosto sia da attribuire alla prospettiva dell’ io di finzione o io poetico. E’ la malinconia dell’estrema declinazione di un intero universo simbolico, quello arcadico del Rinascimento, quello più interno alle fibre nascoste dell’universo madrigalistico, che promana proprio dalla ascensionale conquista del canto celebrata nel sesto libro, una raccolta che sembra possedere l’arcata tematica di un canzoniere.

I critici più attenti non hanno mancato di cogliere lo sfondo simbolico  di quella che è stata definita una “pastorale dell’io”. Il madrigalismo di Gesualdo, ha scritto, per esempio, con la consueta perspicacia, Nino Pirrotta, “non ha che un tema unico, l’amore. Egli fu, si direbbe, romanticamente innamorato del complesso cerimoniale del corteggiamento amoroso, delle promesse deluse, delle negazioni provocanti, delle speranze risorgenti. La vita non gli diede che delusioni, incomprensioni coniugali e troppo facili avventure del senso; pure il suo sogno persiste fino all’ultimo, si rinnova anzi negli ultimi anni in un’esaltazione gioiosa che le fasi precendenti non avevano conosciuto. Tra le afflizioni spirituali e le macerazioni corporali le dame cantatrici di Ferrara tornavano forse a visitare il principe musicista nelle sue solitarie meditazioni, non più come Lucrezia, Tarquinia, Livia o Laura, ma come Filli, Licori o Amarilli, creature ideali più belle nella visione che nella vita, più sapienti e perfino più crudeli nell’infliggergli le pene soavissime d’amore. Creature di un mondo immaginario e più perfetto, – conclude Pirrotta – ministre di un’unica realtà, l’isolamento trepidante dell’io tutto assorto, troppo assorto, in se stesso”.[2] Quello che ci piacerebbe aggiungere è che a Gesualdo pertiene anche una dimensione mitico-rinascimentale del rendere il mondo gioioso col Canto.

Resta in predicato di certezza la data di composizione dei madrigali del suo sesto libro, che forse risalgono per la maggior parte al 1596, vale a dire prima dell’emergere della cosiddetta  seconda prattica, ma pur sempre in anni di incubazione e verifica. Ma resta anche il dato che Gesualdo abbia comunque deciso di dare alle stampe, appunto nel 1611, la sua raccolta, di cui era musicalmente convinto. Ed è da qui, dall’intrecciarsi di opzioni e scelte, che emerge, sulla base di una verifica fattuale del suo linguaggio compositivo, l’idea di congedo, di commiato che le scelte dell’ io poetico ci consegnano con l’estroversione simbolica e la definitiva identificazione di Clori con quella Clori uccisa dalle frecce di Artemide e di Apollo per essersi vantata di cantare meglio del dio e di essere più bella della dea.

E’ possibile leggere anche nei contemporanei poeti marinisti, così come era stato in precedenza per Battista Guarini, una continua invocazione a Clori, ma sembra quasi che la usino come nella locuzione “la mia lei”; il riflesso del retaggio simbolico-pastorale è appannato, residuale. In Gesualdo, compositore ideologicamente madrigalistico, la tensione del corteggiamento ( madrigali I-XVII, fino a Moro, lasso, al mio duolo) e la conquista di Clori  (madrigali XVIII-XXIII) sfociano in un’immagine mitica del Canto:

Così la gioia mia versando il seno

Io d’ogni intorno inondo

E fo, col mio gioir, gioioso il mondo  (madrigale XIX).

E’ inconsueto tentare l’analisi musicale comparata di un intero libro, forse a motivo della non riconosciuta continuità micro e macro-formale del tessuto compositivo della raccolta. Tanto che la musicologia esperta di cose madrigalistiche ha percorso la strada dell’analisi di un singolo madrigale, facendolo assurgere a valore di paradigma. Si ricordi, per fare un esempio, l’ analisi dell’articolazione musicale del madrigale II, Beltà, poiché t’assenti, compiuta da Lorenzo Bianconi. “Esso si fonda – secondo lo studioso – sulla segmentazione delle immagini verbali (poetiche) e sulla loro individuazione musicale mediante la combinazione sempre diversa di alcuni procedimenti polifonici, riducibili ad alcune opposizioni di base: trattamento omofonico o imitativo delle voci; condotta consonante o dissonante delle parti; andamento diatonico o cromatico dei soggetti. L’uso estensivo (e non più eccezionale, come nel Cinquecento) di quest’ultima opposizione (diatonico/cromatico) potenzia le combinazioni possibili (da quattro a otto) e consente quindi di assegnare a ciascun segmento del testo un trattamento polifonico diverso da tutti gli altri. […] A questa serie di polarità si sovrappone ancora la variabilità metrica e l’irregolarità ritmica: mentre nel tactus cinquecentesco il rapporto tra le unità metriche per la singola sillaba (breve:lunga) era normalmente di 1:2 (semiminima/minima o croma/semiminima), per Gesualdo l’unità metrica sillabica può passare di colpo attraverso rapporti di 1:4 o 1:8, dalla croma alla semibreve. […] A garantire il rapporto logico tra i membri eterogenei ed isolati del madrigale -conclude Bianconi- rimane il testo, il “concetto” arguto che collega tra di loro le immagini verbali e musicali, per analogia o per antifrasi, per parallelismo o per negazione”.[3]

Fermiamoci un momento sull’idea di “trattamento polifonico diverso” per ogni segmento del testo e cerchiamo di scrutarlo da vicino. In che cosa consiste? Rileggiamo il madrigale:

Beltà, poi che t’assenti,

Come ne porti il cor, porta i tormenti.

Ché tormentato cor può ben sentire

La doglia del morire,

E un’alma senza core

Non può sentir dolore.

Ricordiamo che il madrigale conclude in Sol maggiore. Il primo segmento, Beltà, poi che t’assenti., è musicato in un blocco accordale. Da questo punto di vista abbiamo questa arcata armonica: [Sol minore, Mi maggiore, Re maggiore, Sol maggiore, Re maggiore, Fa# maggiore]. L’incipit in minore e la cadenza sulla sensibile segnalano un madrigalismo accordale con un senso di non risoluzione ansiosa che coincide con la parola t’assenti. L’armonia è in funzione del senso segmentale del madrigale e delle sue immagini poetiche. In un altro momento dello stesso madrigale può essere molto diversa e del tutto irrelata alla precedente o alla conseguente. Il meccanismo contrappuntistico da parte sua è generato dalla variabilità  dell’ambitus delle figure melodiche. Il primo soprano agisce -in questo caso- in un ambitus di quinta [Sol, Re], il quintus in un ambitus di quarta [Re, Sol], il contralto in uno di ottava [Sib, La#], il tenore in uno di terza maggiore [Sol#, Do], il basso in uno di quarta [Re, Sol]. L’andamento melodico, anche se imitativo, risente della possibilità di restringere o allargare l’ambitus, così possiamo avere un’imitazione a sottosegmenti con la prima parte in trasposizione diretta e la parte finale con uno scarto intervallare. Cioé i singoli segmenti si possono dividere in sottosegmenti fino a coincidere con la singola parola.

Questo sembra essere  il quadro del meccanismo compositivo segmentale di Gesualdo relativamente alla costruzione di un singolo madrigale. Passiamo ora a dare uno sguardo sui motivi compositivi della raccolta nel suo insieme e individuare delle micro-forme generatrici, ricorsive e significative. L’esser andati alla ricerca di unità ricorsive nasceva dalla sensazione di arcata unitaria che la raccolta offre già a una considerazione generale. Si trattava di individuare una cellula frastica che attraversasse tutta la raccolta. Ce ne sono? A nostro avviso è possibile reperirne una: si tratta di una figura di quattro suoni per seconde minori che copre l’ambitus di una terza minore variamente disposta in senso diastematico-intervallare a coprire il segmento interessato.

-Madrigale I, Se la mia morte brami (conclusione in Sol)

La troviamo come secondo elemento nascosto  del dux del primo segmento: Se la mia morte brami; morte brami [Re, Mib, Mi, Fa] al secondo soprano (Quintus), ripresa dal comes in imitazione stretta del primo soprano [Sol, Lab, La, Sib], con ripetizione del conseguente al contralto [La, Sib, Si, Do] e in imitazione dal primo soprano [La, Sib, Si, Do]. Successivamente nello stesso madrigale la troviamo nel segmento al contralto: E dopo morte ancor [Sib, La, Lab, Sol, Sib], con imitazione del primo soprano [Fa, Mi, Mib, Re, Mib]. Infine: Il duol m’ancide, segmento in dux al primo soprano [Re, Mib, Mi, Re, Do#] e in comes al secondo soprano [Sol, Lab, La, Sol, Fa#]. Risultato: la figura, tenuta nella tessitura delle voci alte,  copre l’intero totale cromatico, un’intera serie di dodici suoni.

-Madrigale II, Beltà, poi che t’assenti:   (conclusione in Sol)

La troviamo al contralto nel segmento: Come ne porti il cor [Fa#, Re#, Mi, Mi#] e nel segmento: Porta i tormenti allo stesso contralto [Sib, Si, Do, Do#], che fanno parte di un unico verso endecasillabico: Come ne porti il cor, porta i tormenti.

-Madrigale VI, “Io parto” e non più dissi, che il dolore (conclusione in Mi)

La troviamo al primo soprano nel segmento: (Ai) dolori Io resto [Do#, Re, Mib, Mi, Do#] e al secondo soprano nel segmento: In dolorosi lai [Mi, Fa, Mib, Re].

-Madrigale IX, Deh, come invan sospiro (cocnlusione in Mi)

La troviamo al primo soprano nel segmento: Infelice mia sorte [La#, Si, Do, Sib, La], con un’indicativa espansione accordale nelle altre voci, tranne il basso, dell’ambitus in terza maggiore, quarta aumentata e terza minore con la figura resa ellitticamente [Fa#, Sol, La]. Un procedimento caratteristico gesualdiano di ricavare gli accordi  dal contrappunto lineare.

-Madrigale X, Io pur respiro in così gran dolore (conclusione in Mi)

La troviamo al secondo soprano nel segmento: (in) così gran dolore; o meglio, bisogna dire che è celata in un ambitus di quarta [La, Re], ma quello che ci interessa è la figura [Si, Do, Do#, Re], ripresa dal contralto [Fa#, Sol, Sol#, La, Sol#] con replica sempre del contralto [La, Sib, Si, Do]. Alla fine la troviamo nel segmento: Ed al gran duolo, in bicordo sovrapposto al contralto [Sib, La, Lab, Sol] e al basso [Mib, Re, Reb, Do] e in imitazione al primo soprano [Fa, Mi, Mib, Re], con replica al contralto [Sol, Fa#, Fa, Mi] e in imitazione al primo soprano [Sol, Fa#, Fa, Mi] e al secondo soprano [Si, Sib, La, Sol#]. Un altro totale cromatico. Qui la figura è molto sfaccettata anche dal punto di vista timbrico.

-Madigale XII, Candido e verde fiore (conclusione in Fa)

La troviamo nascosta al soprano nel segmento: Nè tormenti miei, in un ambitus di quarta, con la caratterizzazione [Do#, Re, Si, Do]. E’ interesante notare che sotto il primo soprano il secondo soprano apre l’ambitus in una terza maggiore per aumentazione con le caratteristiche del continuo cromatico della figura di base[Sol#, Fa#, La, Fa, Sol], un’estensione della figura base che è a suono alternato, raramente in discesa o in salita lineare, in un contesto cromatico.

-Madrigale XIII, Ardita Zanzaretta (conclusione in Sol)

La troviamo al primo soprano nel segmento: Dolce veleno [Reb, Do, Si, Re], e al secondo soprano [Lab, Fa, Fa#, Sol].

-Madrigale XVII, Moro,  lasso, al mio duolo (conclusione in La)

La troviamo al secondo soprano nella prima metà del segmento incipitario: Moro, lasso [Mi#, Mi, Re#, Re], replicato più avanti dal primo soprano [La#, La, Sol#, Sol]; poi al contralto nel segmento: Dolorosa sorte [Sol, Sol#, La, Sib] e in sottoposizione al tenore [Re, Mi, Fa, Mib, Re, Mi] e in imitazione al primo soprano [Re, Mi, Fa, Mi, Re#] e in sottoposizione al secondo soprano [La, Si, Do, Sib, La, Si]; poi al primo soprano nel segmento: Ahi, mi dà morte [Fa, Mi, Re, Mib, Mi], e in imitazione al contralto [Do, Si, La, Sib, Si, La] e al secondo soprano [Sib, La, Sol, Sol#, La, Sol#, La]. Un altro totale cromatico complessivo.

-Madrigale XVIII, Volan quasi farfalle (conclusione in Fa)

Il madrigale XVIII ci sembra quello della svolta nell’ambito della raccolta, esso prepara la gioiosa ascesi finale con una mutazione interna del significato della figura, applicando parole di segno diverso ai quattro suoni cromatici. Finora abbiamo avuto: morte, duol, m’ancide, tormenti, dolorosi lai, infelice, gran duolo, veleno, moro, dolorosa sorte, ancora morte. Ora abbiamo, al tenore: Almi splendori,  con la figura nascosta  in un ambitus di quarta [Mi, Fa#, Sol, Fa, Sol]; poi al  primo soprano: Provan l’altra virtù [Si, Do, Sib, La]; infine al tenore: Di lor penne riarse il foco [Re, Mib, Re, Mib, Re, Mi, Fa, Re], la cui estensione in durata è inconsueta rispetto alle più compatte figurazioni cromatiche precedenti.

-Madrigale XXII, Già piansi nel dolore (conclusione in Do)

La troviamo nella prima parte dell’incipit al secondo soprano: Già piansi (nel) [Mi, Sol, Fa, Fa#].

-Madrigale XXIII, Quando ridente e bella (conclusione in Sol)

Alla fine della raccolta questa figura che aveva incarnato la morte e il dolore si traveste ariostescamente nell’immagine della serenità, affidata al primo soprano nel segmento: Mi si mostra Licori [Do#, Re Si, Do], nel XXIII e ultimo madrigale.

Sembra che dal gioco delle figure, del loro insegursi e accavallarsi e dall’espansione intervallare per aumentationem possa anche farsi scaturire il rapporto accordale tra le voci che, preso unilaterlamente, può essere definito e catalogato come questo o quell’accordo; quello che risulta inspiegabile è la relazione dei singoli accordi. Gesualdo non compone infatti per accordi, ma per linee. “Nel Cinquecento -ha scritto Carl Dahlhaus- il contrappunto, considerato la quintessenza delle regole del comporre, veniva distinto dall’armonia. Il persistere di questi termini nei secoli seguenti nasconde però diversità di significato: con armonia si intendeva qualcosa di differente dalla successiva teoria armonica, vale a dire una dottrina delle relazioni fra i suoni, non degli accordi e delle loro concatenazioni. […] Secondo il modo di pensare cinquecentesco – non era per nulla contraddittorio parlare di composizione musicale contrappuntisticamente nelle regole ma non armonica. La distinzione di queste due categorie costituiva il presupposto del cromatismo di Gesualdo: le infrazioni armoniche trovavano un solido sostegno nel contrappunto, che rimaneva intatto”.[4]

Come abbiamo avuto modo di dire, quella che abbiamo individuato come  la “figura cromatica” è talvolta presente in modo ellittico con tre suoni, con uno sottinteso, ma  sempre in un ambitus di terza minore; tal’altra essa si allarga in un ambitus di terza maggiore, con l’inserzione di una seconda maggiore al posto di una delle minori, ma il procedimento è così diffuso da far pensare piuttosto allo sfociare della figura di base nel procedimento contrappuntistico generale. Tal’altra ancora la figura è nascosta ma riconoscibile in un ambito di quarta con uno scarto intervallare tra la prima nota e il gruppo figurale che  ne contrassegna la riconoscibilità. Ci interessava in generale mostrare come è con mezzi musicali ricavati dalla sintassi del contrappunto polifonico che Gesualdo intesse le sue linee simboliche. La sua è una poetica basata sull’artificio.  Il suo artificio è basato sul semitono cromatico. Ha scritto ancora Dahlhaus: “Anche se non esclusivamente, ma nel modo più risoluto Gesualdo tende all’isolamento e all’emancipazione del semitono cromatico; le propensioni alla sensibilizzazione sono represse o sospese affinché il cromatismo si manifesti  autonomamente. […] Il tentativo di interpretare l’isolamento del semitono cromatico come elemento musicale intenzionale anziché inerte, può aver origine dal fatto che il cromatismo del Cinquecento era concepito come rinascita di quello antico”.[5]

Gesualdo declina nella sua sesta raccolta a cinque voci la sua inattualità poetico-musicale, tanto più pungente se la confrontiamo con le sceltre poetiche e musicali delle avanguardie del primo Seicento, che appaiono simmmetricamente e specularmente orientate rispetto a quelle di Gesualdo. Vale a dire che, in una prospettiva storica, Gesualdo appare attardato e scavalcato da musiche e musicisti che pur conosceva, sia pur forse parzialmente, attraverso l’occasione fornitagli dai  suoi viaggi a Firenze e Venezia e la sua permanenza a Ferrara.

Nel XXIII, madrigale

Quando ridente e bella

Più vaga d’ogni stella

Mi si mostra Licori

E seco scherzan lascivetti Amori,

Tutto gioisco e sì di gioia abbondo

Che de la gioia mia gioisce il mondo.

conclusivo forse non solo del sesto libro ma della intera dimensione profana del  comporre gesualdiano, il principe compositore del Rinascimento mette in scena un paesaggio su cui la maggior parte dei commentatori ha ostentatamente sorvolato forse perché così smaccatamente classico e aristocratico e così lontano dalla poetica degli affetti, ma che ci sembra rivelativo del suo intimo madrigalismo, tanto da farci parlare non di un superamento ma di un compimento dell’ideologia e della pratica madrigalistica del Cinquecento polifonico italiano. La malinconia di Gesualdo è così nel suo commiato dall’universo del Rinascimento. Le scelte estreme del cromatismo gesualdiano, che è di tipo lineare, non verticale, scelte che derivano -occorre ribadirlo- dall’andamento diastematico-intervallare della singola linea melodica e di conseguenza si inscrivono in un ordine di pensare per suoni di tipo contrappuntistico e non accordale, anche se non è affatto escluso l’uso madrigalistico di un’intera sequenza di accordi, sono la cifra musicale di quel commiato, il loro segno sonoro e simbolico.


NOTE

[1] P. Cecchi, “Le scelte poetiche di Carlo Gesualdo: fonti letterarie e musicali”, in La musica a Napoli

durante il Seicento, , Atti del Convegno internazionale di studi, (Napoli 1985), Roma 1987, p. 63.

[2] N. Pirrotta, “Carlo Gesualdo, principe e musicista”, in Poesia e musica e altri saggi, Firenze 1994,

pp. 169-70.

[3] L. Bianconi, Il Seicento, in Storia della musica, a cura della Società italiana di musicologia,

Torino 1991 (nuova ed.), pp. 8-9.

[4] C. Dahlhaus, “Il cromatismo di Gesualdo”, in P. Fabbri (a cura di), Il madrigale tra Cinque e Seicento,

Bologna 1988, p. 214-5.

[5] ibidem, p. 219.

Antonio De Lisa

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